Quando affrontiamo dinamiche relative al mondo interiore, emotivo o alla nostra psiche, viene naturale, di questi tempi, categorizzare!
Sembra infatti, che senza un’etichetta che definisca una parola, essa non possa vivere, non ha autonomia propria, non possa venire presa in considerazione, quasi si generasse un dubbio, un blocco, un bug di sistema.
Questo perché l’uomo, come essere umano, deve catalogare, appiccicare un nome che identifichi una qualità, un difetto, una menomazione, come se affibbiandole un titolo, potessimo controllarla meglio: ok, adesso la conosciamo, è la solitudine, dunque la trattiamo “così o pomì”, dipende.
Si perché immediatamente dopo la sua caratterizzazione, scatta la medicalizzazione, cioè dato che sappiamo di cosa si tratta, questi sono gli elementi utili, medicamentosi, miracolosi per sconfiggerla! E allora eccoci pronti alla corsa del farmaco o all’unguento magico di turno, regalatoci da chissà quale guru terapeutico o, peggio ancora, sciamano del web.
La solitudine poi, nella sua specificità, viene considerata ancora più pericolosa: stare da soli, porta inevitabilmente con sé, tutta una considerazione sociale negativa, forse sviluppata in richiamo delle regole dei nostri avi, che si movevano sempre in gruppo, in tribù o in branco.
Spesso, chi ama restare per proprio conto, viene svalutato, spesso bullizzato, considerato diverso o deviato, un a-sociale appunto che non sa rimanere con gli altri, si chiude in se stesso e per quale ragione non si sa, ma si sa solo e di questo il mondo che ci circonda ne ha piena certezza, che la persona sola, ha dei problemi!
La società stessa, forse per qualche difficoltà di coerenza, ci spinge poi verso una sorta di moda, che immancabilmente indirizza verso la solitudine: lo smart working, i viaggi per single molto pubblicizzati, la realtà virtuale che in maniera prepotente irrompe sempre di più nelle nostre vite… Urge dunque, tanto per cambiare, fare un po’ di chiarezza, sempre per quell’ideale di consapevolezza, che trascina le nostre coscienze verso il vero autentico e inoppugnabile.
Proviamo a leggere alcune definizioni di solitudine riportate dai dizionari.
“La solitudine è una condizione e un sentimento umano in cui l’individuo si isola per scelta propria (se di indole solitaria), per vicende personali e accidentali di vita, o perché ostracizzato dagli altri esseri umani, generando un rapporto (non sempre) privilegiato con se stesso.”
“La solitudine è uno stato di isolamento sociale che comporta la mancanza di relazioni significative con gli altri. Va ben oltre il trascorrere del tempo da soli: provare solitudine significa sentire una sensazione di forte disconnessione emotiva e sociale.”
Possiamo dunque riferirci alla solitudine come a quella situazione in cui si sta da soli, per scelta o per obbligo. Ma siamo sicuri che stare in solitudine sia così negativo?
Osserviamo dunque amici, come avrete capito in qualità di fedeli lettori dei nostri articoli, la situazione da punti di vista diversi, assaggiando i pro e i contro di questa secolare diatriba che separa anche scienziati e studiosi di psicologia.
È fondamentale sottolineare, che il potere della solitudine risiede nell’abilità di coltivare un angolo personale senza cadere nell’isolamento totale. Trovare l’equilibrio tra momenti di solitudine benefica e interazioni sociali è essenziale per una vita sana ed equilibrata. La solitudine può essere un prezioso giardino dell’anima, ma come ogni giardino, richiede cura, attenzione e il giusto equilibrio per prosperare senza pericoli eccessivi.
Pro della Solitudine:
- Auto-Scoperta: la solitudine offre un’opportunità unica di esplorare il proprio mondo interiore, scoprendo passioni, desideri e paure spesso nascosti nella frenesia della vita quotidiana.
- Autostima: trascorrere del tempo da soli consente di costruire una sana autostima, imparando a valorizzare le proprie qualità e ad accettare i propri difetti senza il giudizio costante degli altri.
- Resilienza: la solitudine può insegnare la resilienza, poiché si impara a superare sfide e difficoltà da soli, sviluppando una forza interiore che può essere utile nelle situazioni di vita più impegnative. (LINK approf)
- Indipendenza Emotiva: essere soli permette di sviluppare un senso di indipendenza emotiva, imparando a gestire le proprie emozioni senza dipendere eccessivamente dagli altri per il proprio benessere emotivo.
- Creatività e Riflessione: la solitudine favorisce la creatività e la riflessione profonda, offrendo spazio mentale per generare nuove idee, prospettive e soluzioni innovative.
Contro della Solitudine:
- Isolamento Sociale: una prolungata solitudine può portare all’isolamento sociale, con conseguenze negative sulla salute mentale e fisica, aumentando il rischio di depressione e ansia.
- Mancanza di Supporto: senza connessioni sociali significative, manca il supporto emotivo e pratico che gli altri possono offrire in momenti di bisogno.
- Limitata Diversità di Prospettive: la mancanza di interazioni sociali può limitare l’esposizione a diverse prospettive e opinioni, riducendo la crescita personale e la comprensione del mondo.
- Depressione: la solitudine e l’isolamento prolungato possono aumentare il rischio di depressione, specialmente se non gestiti adeguatamente.
- Rischio di Auto-Riflessione Negativa: in certi casi, la solitudine può portare a una eccessiva auto-riflessione negativa, accentuando preoccupazioni e insicurezze anziché promuovere la crescita personale positiva.
Ma giunti a questo punto potremmo chiederci: ci domandiamo mai se stiamo veramente bene con noi stessi? Non è che fuggire da noi, uscendo, restando con gli altri, cacciando i pensieri, non sia un modo prima di tutto per sfuggire da noi stessi?
Non è che invece, la tanto stigmatizzata solitudine, possa diventare un modo per conoscerci meglio, apprezzarci, diventare i nostri migliori amici, senza più bisogno di fughe, senza bisogno di riempire il nostro mondo interiore con pensieri ingombranti, recitare il ruolo dell’attore per forza simpatico a tutti, altrimenti agli occhi degli altri diventa uno sfigato…
Già gli altri… il mondo, l’universo delle maschere e degli stereotipi! Da solo comprendo chi sono, cosa voglio veramente, mi ascolto attraverso quell’arte dell’ascoltare cara agli antichi, a quegli archetipi ancestrali che vivono dentro di me, mi guidano e mi conducono verso la mia vera identità, quella seppellita dalle parole assordanti di amici di cui mi circondo per non pensare, non amare, non coltivare la mia vera essenza che seppellita sotto coltri di grigiore omologato, soffoca in quel silenzio urlante che non ha nome, ma è solo un richiamo, sibilo, un languore.
Allora ecco cosa diventa importante: da solo mi siedo in un luogo che sento mio, dove mi trovo a mio agio, dove magari andavo da bambino (innumerevoli le fonti che ci raccontano dell’abilità dei piccoli di trovare soluzioni ai disagi della vita… magari ne parleremo in un altro articolo) e rifletto… cerco di comprendere, senza forzature né obblighi, restando in contatto con il vero Sé che vive dentro di me e conosce tutto… cerco dicevo, di comunicare con me stesso e ascoltando cosa mi dice la mia anima.
Senza più omologazioni, che tendono ad appiattire chi sono veramente, tenendo conto dell’esterno e non delle mie passioni, di come mi accendo di entusiasmo quando compio il mio compito, quello che adoro, per cui davvero mi alzerei alle cinque del mattino, quello che mi fa sognare, a occhi chiusi e aperti, quello che mi tiene in vita e che mi fa vivere i giorni, non passare i giorni per vivere…
Ed ecco ancora che torna l’idea della nostra vita come opera d’arte! Annullo il collegamento sterile di chi mi vuole allineato, uguale a tutti, altrimenti sono escluso, altrimenti mi mettono da parte! Bene ecco la novità! Da parte mi metto da solo, resto con me, con quella solitudine alleata, finché non trovo una persona che non mi giudichi, non mi insulti, non mi prenda a calci l’anima e mi ferisca lo spirito, altrimenti accolgo con piacere il proverbio: “Meglio soli che male accompagnati”.
E allora ci viene in aiuto la scienza che a gran coro afferma:
“Essere soli, anche per pochi istanti, soli senza nessuno, è attivare la migliore terapia che il Sé possa agire su di noi”. M. Granet
E se fossimo confusi? Dunque ricapitolando… se resto da solo mi perdo la possibilità di vivere in compagnia, divertirmi, trovare qualcuno con cui condividere passioni o disavventure; se invece mi butto nella mischia, perdo me stesso, rischiando di omologarmi o peggio di venire criticato per le mie idee… ok, lo so, devo fregarmene, ma non sempre è possibile…
Per carità, lecite osservazioni… a questo punto, proviamo a farci aiutare dallo “Shippai” arte giapponese per trasformare un dubbio, in opportunità. Potrà aiutarci a dipanare le tante sollecitazioni poste da questo termine attraente quanto controverso?
Tanto per cominciare, questa tecnica ci raccomanda subito un consiglio interessante: non è importante l’evento in sé, ma con quale atteggiamento mentale ed emotivo lo affrontiamo. I pensieri sono di solito neutri, il valore però con cui li carichiamo (in positivo o in negativo) creano la differenza; è necessario dunque, considerare il potenziale che si cela dietro ciascun fallimento, per poter diventare resilienti e modificare una situazione apparentemente svantaggiosa, in una seria opportunità di svolta.
Potete a questo punto facilmente agganciare ciò che abbiamo già imparato a proposito della resilienza e che vi invito ad andare a rileggere.
E a proposito di letture, vi invito a trovare in personaggi “famosi” o della storia, le tante persone che hanno saputo superare e direi egregiamente, momenti bui, in cui tutto sembrava perduto… ad esempio, solo per fare alcuni nomi: R.Levi Montalcini, A. Merini, L. Hay, J. Vitale, D. Chopra, molti musicisti, artisti o cantanti che hanno dichiarato quante volte avrebbero voluto mollare tutto, ma hanno proseguito con tenacia ciò che i loro talenti suggerivano, per emergere e regalare non solo a loro stessi, ma anche al mondo, persone uniche e preziose, che hanno fatto della loro vita una vera e propria opera d’arte!!!
Ma cosa ci porta dal dire al fare? Perché continuiamo ad ostinarci nel pensare che fallire sia un danno irreversibile? Così proseguendo, la lezione intrinseca agli errori non verrà mai sfruttata…
Restare da soli diventa uno stigma sociale? Un fallimento umano deprecato da tanti?

Lasciamo andare i commenti inutili e dannosi e concentriamoci piuttosto su ciò che ci fa stare bene: essere soli non è sempre un limite, ma si trasforma in una vera e propria tortura, se occupiamo il nostro tempo a rimuginare vecchi pensieri, antiche diatribe con noi stessi, magari incolpandoci di questo o quel guaio, e continuando a paragonarci agli altri che sicuramente, in quel frangente depressivo, sembreranno assolutamente meglio di noi… ma la sfida non è con loro, non sono loro i nemici, siamo noi i peggiori nemici di noi stessi, soprattutto in certe circostanze!
Ci sentiamo soli, ma spesso di quella solitudine ne abbiamo paura, non sappiamo gestirla, ci sentiamo insicuri, fragili, colpevoli non essere in grado di tollerare le frustrazioni, le incertezze verso il futuro, gli errori del passato. Allora ecco che si affaccia lo spettro della profezia che si auto avvera: frasi come, non sono capace, capitano tutte a me, che periodo terribile e sarà solo l’inizio, e via di questo passo, non fanno che innescare episodi che alimentano tale idea che abbiamo di noi stessi. La mente infatti, tenderà a confermare tali pensieri di sconfitta, alimentando proprio quei tratti che li sviluppano, non tenendo conto delle evenienze positive che si potranno avvicendare a periodi negativi.
Si tratta quindi di una vera e propria trappola, un vortice discendente dal quale sganciarsi non è sempre troppo facile.
Un modo però esiste e arriva proprio dalla capacità di osservare noi stessi, senza giudicarci, senza colpevolizzarci, ma allontanando, come buon inizio, tutte quelle espressioni che risultano deterministiche: sono un fallito, non sono in grado di fare niente di buono, tutti mi criticano perché mi considerano stupido, in famiglia nessuno mi considera intelligente, ecc.
Un dialogo interiore improntato a trovare soluzioni, è un attimo amico per trascorrere giornate con me stesso produttive e all’insegna di un cambiamento di rotta! Non sapete quanto le parole possano diventare una cura potente e magica… per questo vi rimando a un articolo sull’argomento.
E non dimenticate mai, che Stare da soli è un’occasione per conoscere se stessi e acquisire quella consapevolezza necessaria per comprendere cosa davvero ci sta a cuore.
Carl G. Jung, psichiatra svizzero, affermò:
“La solitudine è pericolosa, crea dipendenza, perché una volta che ci si rende conto di quanta pace c’è in essa, non si vuole avere a che fare con le persone”.